venerdì 14 marzo 2014

Legambiente sul Parco Nazionale del Delta del Po


Bene un Delta del Po unico come promozione turistica, ma segua anche la tutela della biodiversità

Legambiente chiede che venga istituito il Parco Nazionale del Delta del Po

Positiva l'iniziativa tenutasi oggi 14 marzo a Mesola (FE), organizzata dagli operatori turistici del Delta del Po, per lanciare un accordo che vada in direzione del turismo integrato in quell’area. In questa occasione è stata presentata una proposta di marketing territoriale del Delta del Po, per Expo 2015, che prova a superare, almeno sul versante turistico, la differenza amministrativa dei due parchi e delle due regioni Emilia-Romagna e Veneto.

Una assurda divisione amministrativa che permane da 23 anni, da quando sono stati istituiti i due Parchi regionali, separati dal corso d’acqua più importante d’Italia, ma uniti da biodiversità e ecosistemi identici, e comuni obiettivi per la tutela di un inestimabile ambiente naturale che rappresenta la zona umida più importante d'Italia. Un patrimonio storico ambientale unico nel Paese, come giustamente hanno compreso da tempo gli operatori del turismo.

Fino ad oggi le rigidità della politica e le divisioni amministrative esistenti tra le due regioni non hanno saputo rispondere alle esigenze degli operatori del settore turistico, che invece, con questa iniziativa, hanno dimostrato di avere una lucida visione di come il patrimonio ambientale sia un valore che può creare economia.

Legambiente crede infatti che la carta vincente per il futuro del Delta del Po sia proprio nel concepire lo sviluppo turistico dell’area di pari passo con un approccio che valorizzi e dia maggiore respiro alle potenzialità naturalistiche e paesaggistiche, scommettendo sul patrimonio ambientale, piuttosto che sul cemento e consumo di suolo.

Secondo Legambiente occorre perciò fare seguire a questa esperienza un reale sistema di coordinamento della gestione delle due aree protette, che faccia dialogare i sistemi di vincoli, i regolamenti, la destinazione dei fondi come ad esempio quelli del Piano per lo sviluppo rurale, e proponga un progetto di sviluppo verde complessivo dell’area. Legambiente ritiene quindi preoccupante che all'evento gli assessori al Turismo non abbiano pensato di coinvolgere in modo più strutturato i Parchi. Senza un ruolo attivo e il coinvolgimento di queste strutture ben difficilmente la visione di promozione turistica unitaria, può essere veramente efficace.

Legambiente richiama quindi l’esigenza di istituire il Parco Nazionale del Delta del Po, superando finalmente le rigidità politiche e per un coordinamento comune nella gestione delle due aree protette divise solo su carta, attraverso un unico disegno sia in termini di tutela della biodiversità che di sviluppo turistico ed economico.

La scelta di istituire un unico ente parco nazionale per Il Delta del Po sarebbe, inoltre, un motivo di ulteriore apprezzamento da parte dell'Unesco che dovrà valutare la candidatura dell'intero delta a riserva mondiale della Biosfera (MAB) e che pone a base delle sue valutazione anche il modello gestionale. Arrivare a questo appuntamento avendo superato, dopo 23 anni di attesa, una artificiosa separatezza di un grande patrimonio di natura e di biodiversità di grande pregio servirebbe ad assicurare al Delta del Po il giusto riconoscimento internazionale.

giovedì 13 marzo 2014

Legambiente: subsidenza rischio sottovalutato


Legambiente interviene nuovamente sul problema subsidenza.

Con le dighe foranee di fronte a Lido Dante si curano i sintomi per qualche anno, ma non si interviene sulla malattia

Se il fenomeno di abbassamento del terreno viene amplificato anche dalle attività di estrazione di idrocarburi come mai la politica non interviene su questo versante?

Assurdo giocare con questa grave incognita che mette a rischio l'economia del turismo: chi finanzierà le difese spondali quando non ci saranno più i fondi dell’Eni?

Come ogni anno, a ridosso della stagione estiva, sul litorale emiliano-romagnolo si investono ingenti risorse per proteggere la costa dall’erosione e per rinfoltire le spiagge sempre più scarne, con l’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini e il futuro del turismo.
Ne sono un esempio gli interventi di difesa della costa del Lido di Dante, sul litorale ravennate, che prevedono la realizzazione di dighe foranee con un finanziamento da parte dell’ENI di circa 2 milioni di euro. Il progetto, che verrà completato prima dell’inizio della stagione balneare, è stato approvato per dare una risposta immediata ai crescenti fenomeni di erosione dell’arenile del Lido romagnolo.

Secondo Legambiente si tratta però di un intervento che rischia di essere un palliativo momentaneo, se non si lavora anche sui problemi a lungo termine di cui soffre ormai tutta la fascia costiera emiliano-romagnola.
Se si mette assieme il fenomeno della “subsidenza”, l’abbassamento del terreno che colpisce gravemente la nostra regione, con il rischio di innalzamento marino a causa dei cambiamenti climatici, ci si rende conto che ci sono forti ipoteche sul futuro degli insediamenti e dell’economia costiera.
L’ipotesi di aver bisogno di interventi di difesa sempre più costosi in futuro non è così remota, come dimostrano gli interveti che sono stati necessari a Cesenatico.

Ad apparire paradossale è soprattutto il fatto che se da un lato si investono fondi per costruire strutture protettive del litorale, dall’altro si continuino a permettere attività che amplificano direttamente gli effetti della subsidenza, come l’estrazione di idrocarburi, proprio ad opera della piattaforma ENI Angelina 2 di fronte al Lido di Dante. Infatti è ormai certo che l’estrazione di fluidi, dal sottosuolo – e quindi anche di idrocarburi – sia una delle cause antropiche dell’aumento della subsidenza.
Se è vero che non è possibile determinare con precisione quanto sia questa influenza, la politica dovrebbe assumersi la responsabilità di tutelare le future generazioni, evitando di correrre rischi.

Quando non disporremo più dei fondi dell’Eni, chi si potrà fare carico dei costi di queste immense opere di messa in sicurezza sempre più necessarie?
Per Legambiente, quindi, l’azione più efficace per difendere le coste è vietare categoricamente le attività di estrazione o stoccaggio di idrocarburi nelle aree non idonee ad ospitarle, a partire da quelle a rischio subsidenza.
Questa è la prima di una serie di richieste che lo scorso settembre l’associazione aveva avanzato alla politica, in occasione della presentazione dossier Idrocarburi. Richieste a cui le amministrazioni locali, che dovrebbero mettere in atto una politica lungimirante, non hanno mai risposto, a cominciare dal Comune di Ravenna.

venerdì 7 marzo 2014

Legambiente: "Consumo di suolo, siamo alla farsa di Errani"


Misure ridicole nella proposta di legge diffusa in questi giorni

Dopo anni di attesa la Giunta vara un proposta inutile che ignora le richieste della società e i cambiamenti normativi in atto.

L’economia della rendita e della speculazione ringrazia

E’ ormai pubblico il disegno di legge regionale approvato dalla Giunta Errani il 17 febbraio, denominata “Riduzione del consumo di suolo, riuso del suolo edificato e tutela delle aree agricole” e si rivela una grandissima delusione.

Un provvedimento promesso dal Presidente Errani fin dalla campagna elettorale del 2010, e dall’assessore Peri in tutti questi anni che, alla prova dei fatti, di riduzione della cementificazione ha probabilmente solo il titolo.
Il testo infatti mostra una serie di buone intenzioni, che però non sono accompagnate da alcuno strumento vero e cogente per porre un freno al sacco del territorio di questa regione.
Una proposta che testimonia, nemmeno tanto velatamente, la volontà di non cambiare nulla nel corso di questo mandato facendo un regalo alla parte meno innovativa del mondo produttivo regionale, che vive sulla speculazione edilizia.

• non si mette alcun limite numerico al consumo di suolo
• non si individuano strumenti per rendere più costoso l’utilizzo del suolo vergine, e togliere quindi spinta alla speculazione derivante dal cambio di destinazione d’uso dei terreni;
• non si pone l’obiettivo temporale di arrivare al consumo di suolo netto zero, in tempi ragionevoli, mentre città come Dresta, Berlino, Stoccarda lo stanno già applicando oggi;
• non si propone la compensazione ambientale preventiva, che a fronte di nuova edificazioni de cementifichi aree già compromesse.

Insomma nessuno strumento necessario a cambiare lo stato delle cose. Nonostante le richieste della gente, le proteste di piazza ed una recente risoluzione del Consiglio regionale di tutt’altro tenore.

“E' evidente – dichiara Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna - che con questa proposta Errani elude l'impegno preso con gli elettori e scava un altro po’ il fossato che separa la politica dalle aspettative della gente. Se il Presidente non ha ormai problemi di riconferme, con che faccia il suo schieramento si presenterà alle prossime elezioni? Ci auguriamo che a fare meglio sia il Consiglio, intervenendo profondamente sul testo per portarlo nella giusta direzione e approvandolo entro fine mandato”.

Nella relazione di accompagnamento si legge, molto onestamente diremmo, che “il problema non è riduttivamente quanto suolo è possibile consumare” e si descrive un ipotetico percorso culturale in cui gli strumenti urbanistici locali dovrebbero adeguarsi ai principi di legge.
Peccato che tali principi nelle leggi regionali esistano già dal 2000 e che questo non abbia spostato ne le scelte della regione ne degli amministratori locali, ne tantomeno aiutato quei urbanisti volenterosi che hanno provato a fermare lo scempio.
Il confronto tra la nuova legge e la legge urbanistica già esistente è sconcertante:

Art.1 comma 3 - Disegno di legge regionaleLegge Regionale 20/2000 – vigente da 14 anni e che non ha impedito gli scempi visti finora
..Dalla data di entrata in vigore della presente legge il consumo di suolo è consentito esclusivamente per la realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità e nei casi in cui venga dimostrata l'impossibilità, totale o parziale, del riuso delle aree già urbanizzate e della rigenerazione delle stesse, e in ogni caso dovranno essere assicurati il minor impatto e consumo di suolo possibile. La pianificazione territoriale e urbanistica si informa ai seguenti obiettivi generali:
…..
prevedere il consumo di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione

Cosa propongono le altre regioni
Se il paragone con le realtà più avanzate d’Europa forse può essere azzardato per una regione considerata la culla dell’urbanistica, basta guardare oltre i confini regionali per verificare l'assoluta inconsistenza della proposta dell’Emilia Romagna.

La Regione Toscana ad esempio, con la propria proposta di Giunta propone di consentire le previsioni urbanistiche con uso di suolo solo nell’ambito del territorio già urbanizzato (salvo poche eccezioni).

La Regione Lombardia con un disegno di legge presentato poche settimane fa introduce il tema delle compensazioni ecologica preventiva, con l’acquisizione di terreni di servitù ad uso pubblico per uso agricolo od ecosistemico. Andando quindi a rendere più costoso l’edificazione di suolo vergine ed in qualche modo bilanciare la nuova cementificazione con la creazione di natura.

Si tratta di provvedimenti parziali e perfettibili ma di gran lunga più concreti e tendenti al risultato dell’inconsistente disegno di legge emiliano romagnolo: insomma, siamo alla farsa.